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Il flusso di pensieri di una mosca bianca.

martedì 3 giugno 2014

III Giugno MMCDXCI – Dischiudersi


цветами в состоянии покоя
{fiorami dormienti}

[ogni nota è scritta in russo, salvo per le citazioni in inglese]
È bizzarro pensare che qualcuno potrebbe andare al cimitero senza avere nessun caro da venire a trovare semplicemente per passeggiare o per rilassarsi – o per perdersi in chissà quali ricordi. Il cielo mattutino è pieno di nuvole che lasciano passare pochi, sottili raggi di sole. E i raggi illuminano braccia di angeli di pietra, i loro occhi senza iridi tutt'altro che condiscendenti; e illuminano tombe accanto ad altre tombe, che ricoprono il terreno appena brinato mentre i salici fanno da cornice. Io sola, in questa necropoli silenziosa.
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E i miei fiori sono incolore,
e le mie mani di ramoscello,
e il mio cuore di cera.

Occhi grandi di falena notturna,
polsi sottili e spinosi di cardo violaceo.


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Damien Wordsworth {2495 - 2513}


Questa lapide non ha foto, solo un nome scritto in solenne stampatello e la data che segna lo scandire del tempo. Non hai fiori, Wordsworth, omonimo al poeta delle giunchiglie. Non ho giunchiglie – ma un fiore vale l'altro. Un crisantemo, dei sempreverdi. Che differenza fa quando nessun'altro all'infuori di me ti piange? [...]
Poco distante qualcuno che accarezza uno dei sepolcri. Anima, ti ho forse visto in qualche illustrazione? O in qualche sogno. O in qualche incubo.


Eileen Wood {2440 - 2495}


L'ambiente è ovattato, lontano - come il ricordo di qualcuno molto caro ma morto da troppo tempo per poterlo sentire realmente. Socchiudo gli occhi. Sono un piccolo fuoco fatuo bianco nel grigiore delle tombe, nel giallo delle erbacce, nel marrone dei fiori secchi. Una luminescenza flebile fasciata da una stoffa nera. L'uomo con le bende da qualche piccola scossa al fazzoletto dopo aver completamente ripulito la fotografia della compianta Eileen Wood, signora cinquantenne dall'aria torva e i capelli raccolti in una severa crocchia. Si avvicina. Non ho timore di lui, e per qualche strana ragione mi sento in dovere di chiedere l'imprimatur.

Could I..?
Allora districo lo stelo del fiore, avvolto con tutti gli altri in un bouquet. I suoi occhiali scuri rimangono puntati. Solo dopo risponde, con la voce tormentata, secca, roca.
Mi sembra il minimo.
Poi una domanda. A me? O a se stesso?
Cosa sei? Non dire che sei solo un'albina. È impossibile. Non qui. Non ora.
Abbandono il fiore che seguirà esattamente il destino di Eileen Wood: rimarrà a tenerle compagnia fino a quando i suoi petali non si raggrinziranno secchi e senza vita. Come le persone. Formulo la mia personale orazione.
And Sorrow's native son - He will not rise for anyone.
È come se il tempo si fermi in questo luogo monumentale di cripte e loculi lasciati marcire senza nessuno dentro. E io con loro, e lui con me.
Sono solo qualcuno che si prende cura di chi si dimentica di loro.
Gli occhiali scuri non danno segno della vita dietro: ci sono occhi? Non c'è nulla? E poi la testa di bende annuisce piano, in segno di comprensione.
...And pretty girls make graves.
Infila lentamente le erbacce dentro una delle tasche della giacca. C'è qualcosa di infinitamente affascinante in un defunto che onora i morti. Un fantasma.


Ne avrai ancora per molto, angelo bianco.
Le tombe dimenticate sono troppo pure per i tuoi fiori.

Ebenizer Lamarque {2400 - 2440 }

Parliamo a distanza. E camminiamo, lasciando una traccia di noi ad ogni sepolcro. Un fiore, una parola, un'orazione. Sento come una forza che mi spinge e attrae verso il fantasma, il quale mi lascia parlare, mi spiega il suo punto di vista. I fiori sono solo fiori. Se qualcuno ti ha detto che eri morto, spettro, si sbagliavano. Perché cammini fra i vivi. I miei piedi calpestano il suolo sacro di Ebenizer Lamarque, un quarantenne biondo con i capelli raccolti indietro in una coda bassa. La fotografia è sbiadita; qualche infiltrazione d'acqua e qualche fungo parassita sul vetro rendono quell'uomo ancora più vecchio e ammalato, come se capisse che si siano tutti dimenticati di lui. Il fantasma senza nome posa la mano sulla tomba fredda di Ebenizer, liberandolo dalla polvere: chissà da quanto il suo volto non vedeva la luce del sole. La voce è smorzata e viene instillata attraverso le fibre delle bende.

Comunque loro sono morti. I vivi non dovrebbero piangerli.

Nessuno si cura della morte quando è lontana, non te l'ha mai detto nessuno? Le mie labbra si distendono calme, solo dopo le parole strisciano fuori.

Non si tratta di piangerli ora, dopo o per il resto della vita.
Accettare il dolore per convivere con esso.
Questo è il mio purgatorio.
Sembra che non fossi dovuta mai nascere, in questo mondo.

Ma non siamo ancora pronti: scaviamo superficialmente la terra, sporchiamo le nostre unghie lasciando quel sacro terriccio dissestato, poniamo un corpo morto. E dopo? Viene pianto fino a quando la memoria non inizia ad erodere i ricordi, strappando via una parte della nostra vita. Rimozione, così la chiamava Freud, quando si trattava di uno shock. Perché la morte è un trauma, sebbene i camposanti non abbiano remore. Loro accolgono, abbracciano e amano assassini, benefattori, morti prematuri, necrofili, pedofili. Tutti a marcire nello stesso terreno, mentre gli alberi avviluppano le radici, facendole entrare fin dentro le narici, fiorendo dentro la corteccia cerebrale, uscendo poi dalle orbite: la Natura che purifica e perdona. Osservo il fantasma mentre passeggia – o fluttua? – tra le tombe curandosi di camminare leggero, come se temesse di urtare il loro sonno.



Ma sei qui. Sei necessaria.
Un essere che sembra avere il gusto del ghiaccio dei morti, ma che ha la logica dei vivi e la sensibilità di capire chi riposa per sempre.
E lo sai o non saresti ancora qui.
Tu non sei di neve, dentro. Sei qualcosa di più – un angelo.

Lui continua a vagare mentre diffonde la sua voce tutto intorno. Io abbasso la mano con il bouquet; i miei palmi sono umidi, le articolazioni indolenzite. Lo seguo, passo dopo passo, specularmente. Entrambi stiamo tracciando due scie parallele nel proseguire fra le tombe, quando un angelo marmoreo che avvolge le sue ali su una lapide mi nasconde da lui. Quando guarderò di nuovo ti troverò ancora qui?

Io non sono un angelo. E nessuno è necessario.

Flebili lembi di carne, sottili fili d'ossa, sogni. Lui forse mi segue con gli occhi, mentre cammina tra le tombe. Non si avvicina, né io lo faccio.
E quale umano, vivo, vuole espiare colpe non sue?

Il fantasma da le spalle a una cripta dagli arabeschi gotici. La cripta è di pietra, con la porta decorata in ferro battuto, semi aperta.

Sei così sottile, eppure hai la forza di portare fardelli assurdi.
Cosa sei?Un essere umano?Impossibile.

Mi sussurra, con un filo di voce. Adesso le nuvole hanno completamente coperto il sole. Toglie gli occhiali neri con un solo, fluido movimento, per riporli con cautela quasi chirurgica dentro una delle tasche. E mi guarda, senza altro a far da scudo. I suoi occhi sono grandi e malinconici, di un azzurro slavato e tutto attorno sono arrossati e cosparsi di piccole vene. Occhi ammalati, che forse sorridono. Ci sono piccole gocce di sangue a imperlare le bende, là dove dovrebbero esserci le guance.
Tu vieni dalla morte, ma come una viva puoi sorridere.

Anche tu vuoi essere pianto fantasma. E io ti onoro con i miei futili fiori. Prendo un crisantemo e mi avvicino piano, con la stessa riverenza che ho per i morti intorno a me. Porgo la corolla luminosa appena sotto il suo volto. Formulo la mia personale orazione.
And Sorrow's native son - He will not rise for anyone.
E socchiudo gli occhi. Sei un'altra lapide. Le dita allentano lo stelo, e il crisantemo cade ai tuoi piedi. Ho ancora altri fiori stretti nell'altra mano. Al cancello dei teschi ballano nel ferro battuto inespressivi, anche loro hanno bisogno di rappresentare al meglio la stirpe umana: per questo i fiori andranno a loro. Infilzo ciò che rimane del bouquet fra i loro occhi vuoti e senz'anima.

Non dirmi il tuo nome. Mi piacerebbe non saperlo mai.



Memento mori.
Così recitava la scritta sotto la danza macabra delle carcasse ossute nel cancello.


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