цветами
в состоянии покоя
{fiorami
dormienti}
[ogni nota è scritta in russo, salvo per le citazioni in inglese]
È bizzarro pensare che qualcuno potrebbe andare al cimitero senza avere nessun caro da venire a trovare semplicemente per passeggiare o per rilassarsi – o per perdersi in chissà quali ricordi. Il cielo mattutino è pieno di nuvole che lasciano passare pochi, sottili raggi di sole. E i raggi illuminano braccia di angeli di pietra, i loro occhi senza iridi tutt'altro che condiscendenti; e illuminano tombe accanto ad altre tombe, che ricoprono il terreno appena brinato mentre i salici fanno da cornice. Io sola, in questa necropoli silenziosa.
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E
i miei fiori sono incolore,
e
le mie mani di ramoscello,
e
il mio cuore di cera.
Occhi
grandi di falena notturna,
polsi
sottili e spinosi di cardo violaceo.
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Damien
Wordsworth {2495 - 2513}
Questa
lapide non ha foto, solo un nome scritto in solenne stampatello e la
data che segna lo scandire del tempo. Non hai fiori, Wordsworth,
omonimo al poeta delle giunchiglie. Non ho giunchiglie – ma un
fiore vale l'altro. Un crisantemo, dei sempreverdi. Che differenza fa
quando nessun'altro all'infuori di me ti piange? [...]
Poco
distante qualcuno che accarezza uno dei sepolcri. Anima, ti ho forse
visto in qualche illustrazione? O in qualche sogno. O in qualche
incubo.
Eileen
Wood {2440 - 2495}
L'ambiente
è ovattato, lontano - come il ricordo di qualcuno molto caro ma
morto da troppo tempo per poterlo sentire realmente. Socchiudo gli
occhi. Sono un piccolo fuoco fatuo bianco nel grigiore delle tombe,
nel giallo delle erbacce, nel marrone dei fiori secchi. Una
luminescenza flebile fasciata da una stoffa nera. L'uomo con
le bende da qualche piccola scossa al fazzoletto dopo aver
completamente ripulito la fotografia della compianta Eileen Wood,
signora cinquantenne dall'aria torva e i capelli raccolti in una
severa crocchia. Si avvicina. Non ho timore di lui, e per qualche
strana ragione mi sento in dovere di chiedere l'imprimatur.
Could I..?
Allora
districo lo stelo del fiore, avvolto con tutti gli altri in un
bouquet. I suoi occhiali scuri rimangono puntati. Solo dopo risponde,
con la voce tormentata, secca, roca.
Mi sembra il minimo.
Poi
una domanda. A me? O a se stesso?
Cosa sei? Non dire che sei solo un'albina. È impossibile. Non qui. Non ora.
Abbandono
il fiore che seguirà esattamente il destino di Eileen Wood: rimarrà
a tenerle compagnia fino a quando i suoi petali non si raggrinziranno
secchi e senza vita. Come le persone. Formulo la mia personale
orazione.
And Sorrow's native son - He will not rise for anyone.
È
come se il tempo si fermi in questo luogo monumentale di cripte e
loculi lasciati marcire senza nessuno dentro. E io con loro, e lui
con me.
Sono solo qualcuno che si prende cura di chi si dimentica di loro.
Gli
occhiali scuri non danno segno
della vita dietro: ci sono occhi? Non c'è nulla? E poi la testa di
bende annuisce piano, in segno di comprensione.
...And pretty girls make graves.
Infila
lentamente le erbacce dentro una delle tasche della giacca. C'è
qualcosa di infinitamente affascinante in un defunto che onora i
morti. Un fantasma.
Ne
avrai ancora per molto, angelo bianco.
Le tombe dimenticate sono troppo pure per i tuoi fiori.
Le tombe dimenticate sono troppo pure per i tuoi fiori.
Ebenizer
Lamarque {2400 - 2440 }
Parliamo
a distanza. E camminiamo, lasciando una traccia di noi ad ogni
sepolcro. Un fiore, una parola, un'orazione. Sento come una forza che
mi spinge e attrae verso il fantasma, il quale mi lascia parlare, mi
spiega il suo punto di vista. I fiori sono solo fiori. Se qualcuno ti
ha detto che eri morto, spettro, si sbagliavano. Perché cammini fra
i vivi. I miei piedi calpestano il suolo sacro di Ebenizer Lamarque,
un quarantenne biondo con i capelli raccolti indietro in una coda
bassa. La fotografia è sbiadita; qualche infiltrazione d'acqua e qualche fungo parassita sul vetro rendono quell'uomo ancora più
vecchio e ammalato, come se capisse che si siano tutti dimenticati di
lui. Il fantasma senza nome posa la mano sulla tomba fredda di
Ebenizer, liberandolo dalla polvere: chissà da quanto il suo volto
non vedeva la luce del sole. La voce è smorzata e viene instillata
attraverso le fibre delle bende.
Comunque
loro sono morti. I vivi non dovrebbero piangerli.
Nessuno si cura della morte quando è lontana, non te l'ha mai detto nessuno? Le mie labbra si distendono calme, solo dopo le parole strisciano fuori.
Non
si tratta di piangerli ora, dopo o per il resto della vita.
Accettare il dolore per convivere con esso.
Questo è il mio purgatorio.
Accettare il dolore per convivere con esso.
Questo è il mio purgatorio.
Sembra
che non fossi dovuta mai nascere, in questo mondo.
Ma
non siamo ancora pronti: scaviamo superficialmente la terra,
sporchiamo le nostre unghie lasciando quel sacro terriccio
dissestato, poniamo un corpo morto. E dopo? Viene pianto fino a
quando la memoria non inizia ad erodere i ricordi, strappando via una
parte della nostra vita. Rimozione, così la chiamava Freud, quando
si trattava di uno shock. Perché la morte è un trauma, sebbene i
camposanti non abbiano remore. Loro accolgono, abbracciano e amano
assassini, benefattori, morti prematuri, necrofili, pedofili. Tutti a
marcire nello stesso terreno, mentre gli alberi avviluppano le
radici, facendole entrare fin dentro le narici,
fiorendo dentro la corteccia cerebrale, uscendo poi dalle orbite: la Natura che purifica e perdona. Osservo il fantasma mentre passeggia –
o fluttua? – tra le tombe curandosi di camminare leggero, come se
temesse di urtare il loro sonno.
Ma
sei qui. Sei necessaria.
Un
essere che sembra avere il gusto del ghiaccio dei morti, ma che ha la
logica dei vivi e la sensibilità di capire chi riposa per sempre.
E
lo sai o non saresti ancora qui.
Tu
non sei di neve, dentro. Sei qualcosa di più – un angelo.
Lui
continua a vagare mentre diffonde la sua voce tutto intorno. Io
abbasso la mano con il bouquet; i miei palmi sono umidi, le
articolazioni indolenzite. Lo seguo, passo dopo passo, specularmente.
Entrambi stiamo tracciando due scie parallele nel proseguire fra le
tombe, quando un angelo marmoreo che avvolge le sue ali su una lapide
mi nasconde da lui. Quando guarderò di nuovo ti troverò ancora
qui?
Io non sono un angelo. E nessuno è necessario.
Flebili
lembi di carne, sottili fili d'ossa, sogni. Lui forse mi segue con
gli occhi, mentre cammina tra le tombe. Non si avvicina, né io lo
faccio.
E quale umano, vivo, vuole espiare colpe non sue?
Il
fantasma da le spalle a una cripta dagli arabeschi gotici. La cripta
è di pietra, con la porta decorata in ferro battuto, semi aperta.
Sei così sottile, eppure hai la forza di portare fardelli assurdi.
Cosa sei?Un essere umano?Impossibile.
Mi
sussurra, con un filo di voce. Adesso le nuvole hanno completamente
coperto il sole. Toglie gli occhiali neri con un solo, fluido
movimento, per riporli con cautela quasi chirurgica dentro una delle
tasche. E mi guarda, senza altro a far da scudo. I suoi occhi sono
grandi e malinconici, di un azzurro slavato e tutto attorno sono
arrossati e cosparsi di piccole vene. Occhi ammalati, che forse
sorridono. Ci sono piccole gocce di sangue a imperlare le bende, là
dove dovrebbero esserci le guance.
Tu vieni dalla morte, ma come una viva puoi sorridere.
Anche
tu vuoi essere pianto fantasma. E io ti onoro con i miei futili
fiori. Prendo un crisantemo e mi avvicino piano, con la stessa
riverenza che ho per i morti intorno a me. Porgo la corolla luminosa
appena sotto il suo volto. Formulo la mia personale orazione.
And Sorrow's native son - He will not rise for anyone.
E socchiudo
gli occhi. Sei un'altra lapide. Le dita allentano lo stelo, e il
crisantemo cade ai tuoi piedi. Ho ancora altri fiori stretti
nell'altra mano. Al cancello dei teschi ballano nel ferro battuto
inespressivi, anche loro hanno bisogno di rappresentare al meglio la
stirpe umana: per questo i fiori andranno a loro. Infilzo ciò che
rimane del bouquet fra i loro occhi vuoti e senz'anima.
Non dirmi il tuo nome. Mi piacerebbe non saperlo mai.
Memento
mori.
Così recitava la scritta sotto la danza macabra delle
carcasse ossute nel cancello.
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