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Il flusso di pensieri di una mosca bianca.

sabato 7 giugno 2014

VII Giugno MMCDXCI – Spezzarsi


кожух
{involucro}

[ogni nota è scritta in russo]

Solo colpa mia. È stato semplicemente un mio errore lasciarti entrare in ospedale per farti conoscere il fantasma. Perché quella sera a Greenfield volevi saperlo, mentre stringevo quel ciondolo, come se avessi voluto farlo incastonare allo sterno come si fa con i gioielli preziosi su una corona. Ma tu sei sempre così terribilmente poco umano, e io sono così persa nel lucore dei tuoi occhi che non vedo più la fiamma che mi riporta fuori dal labirinto. Perché sei un libro chiuso, con le pagine saldate le une alle altre per la cattiva conservazione, che si sono disciolte e ricreate in un unico ammasso di cellulosa malandata.
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Riconosco i tuoi passi – una marcia astiosa, spedita. Io vedo la tua figura deforme e terrificante scagliarsi contro di me, nel riflesso dell'armadietto di alluminio. Mi volto e mi aggrappo confusamente con tutta la forza di un fragile passero, tentando di stringere ed affondare le dita sul dorso delle tue mani maledette. Ho il collo circondato e artigliato.
...Mi hai fatto entrare illegalmente nella camera d'ospedale di due individui in attesa di essere processati, Astrid?

La voce è una lama che s'insinua dritto dentro la gola, così come le sue mani. Non riesco a respirare mentre il tuo sguardo argentato viene spinto direttamente addosso alle pupille. Gli occhi sono colati direttamente nelle mie orbite. Non riesco ad assorbire più l'ossigeno necessario, ma riesco a strappare un ultima risposta a me stessa, prima di smetterla e arrendermi.
Fidati di me.

Dopo, la totale assenza di ossigeno – o almeno, quello che ricordo. Sento delle voci, il fantasma, poi l'uomo nella sua stessa degenza. No, non doveva andare così. Non erano quelli gli intenti, non volevo una reazione del genere. Non vedo nulla, tutto è ovattato, le luci sono sempre più luminose e sfuocate mentre respiro morte.
Avevo sentito dire che gli scoiattoli tendono a impazzire.Sai che fine fanno gli scoiattoli pazzi?

La prima voce non è modulata. È bestiale, minacciosa e alterata. Poi sento un rumore, un tubo metallico che viene afferrato.
Se non è tua moglie non la puoi picchiare, così dice il prete.E siccome non vedo la fede, posa Astrid o te lo tronco nel morbido e tenero culetto.

La seconda voce sembra tranquilla, ma l'inflessione sull'ultima frase è quasi estatica, pronunciata più come un grugnito. Le parole rimbombano come da dentro un'enorme vasca da bagno, come quando, completamente inerme, tutto il corpo si trova all'interno dell'acqua ad eccezione fatta per le orecchie. È come se tutto rimbalzasse dallo specchio del fluido fino al padiglione auricolare. Non bastano le iridi accese di timore a fermarti. Non basta esporsi, non basta nulla per te. Mi lascio andare, socchiudo gli occhi. Una sola voce robotica che pronuncia una parola di risposta ai due.
Nessuna fine.

E poi l'aria nei polmoni tutto d'un colpo, la gola annerita dalla stretta, la trachea libera. Come quando si riceve un'overdose di ossigeno. Sono stata via, e sono tornata in un sospiro profondo: di nuovo la luce scintillante negli occhi aperti come una civetta, che fissano un punto indefinito. Le braccia smagrite che tentano di appigliarsi alla flebo portandomi stretta al tubo metallico. I suoni vivi m'infilzano l'encefalo, e sento che sta per succedere il caos. Una enorme esplosione primordiale che da vita all'universo. E la singolarità che cercavano, sono io. 
Vai via, ti prego. Non farlo. Ci sono due guardie fuori «..» Tutto finisce prima ancora di cominciare.

Sono annullata. Sono niente. E lui continua a nullificarmi, con quella voce densa quanto il petrolio e priva di radici. Giusto come lo è la morte: inesorabile e rivolta a qualsiasi creatura unta del calore della vita.

No, no, dimmi Astrid.«..» Dimmi.

Affonda incoraggiamenti come potrebbe affondarsi un coltello nella carne. E lui non demorde, no, pazzo com'è a voler continuare tutto questo. Ha due lame in mano, prese dal mobile vicino alla finestra. E dopo quella montagna che tiene in mano il tubo metallico si approssima a tramutare l'istigazione in una totale minaccia. Le tue provocazioni invece mi trapassano il cranio raggiungendo rapidamente il centro di elaborazione degli impulsi. Mi alzo di scatto, con l'ultimo bagliore d'energia che mi rimane.
Posali. Ho detto posali.

E sorrido, non so nemmeno perché lo faccio. Perché non ho più nulla da perdere, perché raccolgo la sfida, e la rimando a mia volta. Perché ti odio. Ma sappiamo entrambi che non è vero.
Se vuoi ammazzarmi fallo in un posto dove non lo facciano di rimando altre due persone.

Non dici più nulla. Mi ignori, e non vai via perché te l'ho chiesto, no. Ma perché quell'enorme bestia sta scaraventando quella spranga. E io mi sono frapposta.Ti ritiri come un cane. E la colpa è sempre e soltanto mia. Che trascino nel baratro e dopo proteggo a costo di subire tutto quello che è stato designato per lui. Sono una pazza, ingenua, stupida ragazzina. Il ferro si abbatte in piena schiena che s'inarca e mi priva un'altra volta del respiro. Cado a terra, riuscendo a poggiare i palmi sul freddo pavimento. Dopo mi abbandono alle sensazioni. Freddo e caldo penetrano dentro le guance. È bello seguire microscopici cumuli di polvere sotto il letto del fantasma. Danzano, si poggiano, poi, per una casualità, si risollevano. Respiro, affannosamente e in ultimo giro la testa per vedere le tue mani che attorniano le ringhiera e scompaiono nel buio.
No..

Un patetico gemito sommesso nel tentativo avvicinarmi alla finestra. La carotide pulsa annerita e fa un male terrificante, mentre le ciglia sono bagnate di sudore e lacrime forse.
Non chiamate nessuno.

Socchiudo appena le palpebre per isolare il dolore, per concentrarmi sulla forte emicrania che mi è appena esplosa a causa dell'adrenalina, della paura e del nervosismo. Sono ancora sul pavimento, nel bianco accecante dei neon, delle pareti e nera di rancore che la mia predilezione masochista – tu – si è lasciata alle spalle. La montagna ritorna a letto disinteressata, mentre il fantasma si china su di me come un grande guardiano salvatore. Il mondo ha ancora un sapore, ma adesso è velato di ferro. Mi raccoglie, neanche fossi un usignolo caduto dal nido. Poi prende tra le sue mani una delle mie, infinitamente più piccola, che scompare quando viene nascosta dai dorsi morti di lui. Si vede solo la punta delle mie dita.
I lividi. Quelli che diceva il Caporale.

Pretendo una lunga pausa, domando disperatamente in silenzio che lui taccia e la smetta. Ma concedo a me stessa, ancora una volta, la più grande bugia autolesionista dell'intero universo.
Adesso è cambiato.

Poi tutto d'un tratto sa di fuoco, di nuovo, la scintilla rossa borderline.
Non puoi salvarlo. Lo sai?

Ormai conosco il tuo nome, Alban Darko. Ma non voglio pronunciarlo, tu sei trasparente. 

..Ma posso alleviare la sua solitudine fino a quando non sarà dentro la tomba scavata con le sue stesse mani.

E sorrido ancora, quello stupido sorriso da sconfitta che mi porto dietro da anni ormai.
E allora gli porterò i miei fiori.

Lui, di rimando mi guarda e non mi guarda, perché lui non ha occhi. Ha solo due lenti a specchio. E io mi rifletto di bianco nel nero torvo del vetro, inghiottita e annichilita.
Ma fa' in modo che quando innalzeranno la lapide di Astrid Edwards...

...Lui non sia ancora in vita.


Io invece sono un libro ben conservato, di quelli che trovi nelle biblioteche a cui tutti possono accedervi e che tutti possono leggere. Perché le pagine sono bianchissime e le parole sono manifeste. E il fantasma, questa sera, mi ha letto fino all'ultima lamina di cellulosa purissima.



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