кожух
{involucro}
[ogni nota è scritta in russo]
Solo colpa mia. È stato semplicemente un mio errore lasciarti entrare in ospedale per farti conoscere il fantasma. Perché quella sera a Greenfield volevi saperlo, mentre stringevo quel ciondolo, come se avessi voluto farlo incastonare allo sterno come si fa con i gioielli preziosi su una corona. Ma tu sei sempre così terribilmente poco umano, e io sono così persa nel lucore dei tuoi occhi che non vedo più la fiamma che mi riporta fuori dal labirinto. Perché sei un libro chiuso, con le pagine saldate le une alle altre per la cattiva conservazione, che si sono disciolte e ricreate in un unico ammasso di cellulosa malandata.
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Riconosco
i tuoi passi – una marcia astiosa, spedita. Io vedo la tua figura
deforme e terrificante scagliarsi contro di me, nel riflesso
dell'armadietto di alluminio. Mi volto e mi aggrappo confusamente con
tutta la forza di un fragile passero, tentando di stringere ed
affondare le dita sul dorso delle tue mani maledette. Ho il collo
circondato e artigliato.
...Mi hai fatto entrare illegalmente nella camera d'ospedale di due individui in attesa di essere processati, Astrid?
La
voce è una lama che s'insinua dritto dentro la gola, così come le
sue mani. Non riesco a respirare mentre il tuo sguardo argentato
viene spinto direttamente addosso alle pupille. Gli occhi sono colati
direttamente nelle mie orbite. Non riesco ad assorbire più
l'ossigeno necessario, ma riesco a strappare un ultima risposta a me
stessa, prima di smetterla e arrendermi.
Fidati di me.
Dopo,
la totale assenza di ossigeno – o almeno, quello che ricordo. Sento
delle voci, il fantasma, poi l'uomo nella sua stessa degenza. No, non
doveva andare così. Non erano quelli gli intenti, non volevo una
reazione del genere. Non vedo nulla, tutto è ovattato, le luci sono
sempre più luminose e sfuocate mentre respiro morte.
Avevo sentito dire che gli scoiattoli tendono a impazzire.Sai che fine fanno gli scoiattoli pazzi?
La
prima voce non è modulata. È bestiale, minacciosa e alterata. Poi
sento un rumore, un tubo metallico che viene afferrato.
Se non è tua moglie non la puoi picchiare, così dice il prete.E siccome non vedo la fede, posa Astrid o te lo tronco nel morbido e tenero culetto.
La
seconda voce sembra tranquilla, ma l'inflessione sull'ultima frase è
quasi estatica, pronunciata più come un grugnito. Le parole
rimbombano come da dentro un'enorme vasca da bagno, come quando,
completamente inerme, tutto il corpo si trova all'interno dell'acqua
ad eccezione fatta per le orecchie. È come se tutto rimbalzasse
dallo specchio del fluido fino al padiglione auricolare. Non bastano
le iridi accese di timore a fermarti. Non basta esporsi, non basta
nulla per te. Mi lascio andare, socchiudo gli occhi. Una sola voce
robotica che pronuncia una parola di risposta ai due.
Nessuna fine.
E
poi l'aria nei polmoni tutto d'un colpo, la gola annerita dalla
stretta, la trachea libera. Come quando si riceve un'overdose di
ossigeno. Sono stata via, e sono tornata in un sospiro profondo: di
nuovo la luce scintillante negli occhi aperti come una civetta, che
fissano un punto indefinito. Le braccia smagrite che tentano di
appigliarsi alla flebo portandomi stretta al tubo metallico. I suoni
vivi m'infilzano l'encefalo, e sento che sta per succedere il caos.
Una enorme esplosione primordiale che da vita all'universo. E la
singolarità che cercavano, sono io.
Vai via, ti prego. Non farlo. Ci sono due guardie fuori «..» Tutto finisce prima ancora di cominciare.
Sono
annullata. Sono niente. E lui continua a nullificarmi, con quella
voce densa quanto il petrolio e priva di radici. Giusto come lo è la
morte: inesorabile e rivolta a qualsiasi creatura unta del calore
della vita.
No, no, dimmi Astrid.«..» Dimmi.
Affonda
incoraggiamenti come potrebbe affondarsi un coltello nella carne. E
lui non demorde, no, pazzo com'è a voler continuare tutto questo. Ha
due lame in mano, prese dal mobile vicino alla finestra. E dopo
quella montagna che tiene in mano il tubo metallico si approssima a
tramutare l'istigazione in una totale minaccia. Le tue provocazioni
invece mi trapassano il cranio raggiungendo rapidamente il centro di
elaborazione degli impulsi. Mi alzo di scatto, con l'ultimo bagliore
d'energia che mi rimane.
Posali. Ho detto posali.
E
sorrido, non so nemmeno perché lo faccio. Perché non ho più nulla
da perdere, perché raccolgo la sfida, e la rimando a mia volta.
Perché ti odio. Ma sappiamo entrambi che non è vero.
Se vuoi ammazzarmi fallo in un posto dove non lo facciano di rimando altre due persone.
Non
dici più nulla. Mi ignori, e non vai via perché te l'ho chiesto,
no. Ma perché quell'enorme bestia sta scaraventando quella spranga.
E io mi sono frapposta.Ti
ritiri come un cane. E la colpa è sempre e soltanto mia. Che
trascino nel baratro e dopo proteggo a costo di subire tutto quello
che è stato designato per lui. Sono una pazza, ingenua, stupida
ragazzina. Il ferro si abbatte in piena schiena che s'inarca e mi
priva un'altra volta del respiro. Cado a terra, riuscendo a poggiare
i palmi sul freddo pavimento. Dopo mi abbandono alle sensazioni.
Freddo e caldo penetrano dentro le guance. È bello seguire
microscopici cumuli di polvere sotto il letto del fantasma. Danzano,
si poggiano, poi, per una casualità, si risollevano. Respiro,
affannosamente e in ultimo giro la testa per vedere le tue mani che attorniano le ringhiera e scompaiono nel buio.
No..
Un
patetico gemito sommesso nel tentativo avvicinarmi alla finestra. La
carotide pulsa annerita e fa un male terrificante, mentre le ciglia
sono bagnate di sudore e lacrime forse.
Non chiamate nessuno.
Socchiudo
appena le palpebre per isolare il dolore, per concentrarmi sulla
forte emicrania che mi è appena esplosa a causa dell'adrenalina,
della paura e del nervosismo. Sono ancora sul pavimento, nel bianco
accecante dei neon, delle pareti e nera di rancore che la mia
predilezione masochista – tu – si è lasciata alle spalle. La montagna ritorna a letto disinteressata, mentre il
fantasma si china su di me come un grande guardiano salvatore. Il
mondo ha ancora un sapore, ma adesso è velato di ferro. Mi
raccoglie, neanche fossi un usignolo caduto dal nido. Poi prende tra
le sue mani una delle mie, infinitamente più piccola, che scompare quando viene nascosta dai dorsi morti di lui. Si vede solo la punta
delle mie dita.
I lividi. Quelli che diceva il Caporale.
Pretendo
una lunga pausa, domando disperatamente in silenzio che lui taccia e
la smetta. Ma concedo a me stessa, ancora una volta, la più grande
bugia autolesionista dell'intero universo.
Adesso è cambiato.
Poi
tutto d'un tratto sa di fuoco, di nuovo, la scintilla rossa
borderline.
Non puoi salvarlo. Lo sai?
Ormai
conosco il tuo nome, Alban Darko. Ma non voglio pronunciarlo, tu sei
trasparente.
..Ma posso alleviare la sua solitudine fino a quando non sarà dentro la tomba scavata con le sue stesse mani.
E
sorrido ancora, quello stupido sorriso da sconfitta che mi porto
dietro da anni ormai.
E allora gli porterò i miei fiori.
Lui,
di rimando mi guarda e non mi guarda, perché lui non ha occhi. Ha
solo due lenti a specchio. E io mi rifletto di bianco nel nero
torvo del vetro, inghiottita e annichilita.
Ma fa' in modo che quando innalzeranno la lapide di Astrid Edwards...
...Lui non sia ancora in vita.
Io
invece sono un libro ben conservato, di quelli che trovi nelle
biblioteche a cui tutti possono accedervi e che tutti possono
leggere. Perché le pagine sono bianchissime e le parole sono
manifeste. E il fantasma, questa sera, mi ha letto fino all'ultima
lamina di cellulosa purissima.